THE END






P.S. : Quel che ci restava da fare l’abbiamo fatto. Ecco la classifica aggiornata.
Alessandro Del Piero (Juventus): 290
Giuseppe Meazza (Inter): 288
Francesco Totti (Roma): 270
Angelo Schiavio (Bologna): 252
Gunnar Nordahl (Milan): 221
Kurt Hamrin (Fiorentina): 209
Alessandro Altobelli (Inter): 209
Gigi Riva (Cagliari): 207
Omar Gabriel Batistuta (Fiorentina): 206
Giampiero Boniperti (Juventus): 182

Ma è davvero così brutto questo finale?

Capisco gli juventini, che non vorrebbero mai vedere la fine della carriera di Del Piero nella loro squadra. Tutti vorremmo che i grandi amori non finissero mai, ma l’eternità non è un’alternativa, per i vivi. Capisco i media, per i quali la polemica sul rinnovo del contratto è un buon argomento di discussione e di mobilitazione dei lettori/spettatori, in mancanza di meglio. Capisco meno che tutto il baccano sia partito in seguito a un paio di gol del nostro campione, come se ci fosse bisogno di una conferma, un’altra, l’ennesima, nel 2012, della sua grandezza.

Ma sforziamoci di guardare l’altro lato della medaglia. Vediamo perché questo maggio 2012 è il momento perfetto per l’addio di Del Piero alla maglia juventina. Perché questo momento è davvero ideale, se solo guardiamo qualche dato di fatto, al di là dei sentimenti, che rendono (per fortuna) un po’ ciechi.
Il primo dato è banale, eppure enorme: la Juventus ha appena vinto lo scudetto. Dopo anni ed anni di sofferenze, brevi autunni illusori e lunghe primavere malinconiche, i tifosi juventini hanno festeggiato un trofeo, il cui valore va al di là dell’albo d’oro. Significa ristabilire una gerarchia, riprendere il proprio posto, tornare ad immaginare il confronto con le big europee e non con l’Udinese o il Palermo, con tutto il rispetto. E Del Piero è il simbolo della storia della Juventus, che allaccia questa vittoria a quelle passate, che raccoglie in sé il senso di un percorso.
Il secondo dato è tutt’altro che scontato: Del Piero è stato importante in tutto questo. Ha segnato il gol decisivo contro la Lazio, ha chiuso la partita contro l’Inter e in altre occasioni ha dato il suo contributo, pur partendo spesso dalla panchina. A un certo punto dell’inverno, il suo ruolo pareva diventato molto più marginale, e forse, se Conte avesse trovato una coppia d’attacco affidabile in termini di gioco e di gol, lo sarebbe stato fino in fondo.
Il terzo dato è quasi provvidenziale: c’è un’occasione perfetta per trasformare un addio vincente in trionfale, ed è la finale di coppa Italia del 20 maggio. Del Piero avrà la possibilità di alzare un ultimo trofeo, nel giorno della sua ultima partita nella Juventus, in una competizione in cui è stato certamente decisivo, sia nei quarti che in semifinale. Se lo fosse anche in finale, saremmo di fronte alla trama di un film, quindi non osiamo sperare tanto.

C’è tutto per rendere questo addio perfetto, per quanto perfetto può essere un addio. Non era detto che andasse così, e non è detto che andrebbe così, ad esempio, l’anno prossimo. Sicuramente la Juventus in estate rinforzerà il suo reparto avanzato, e i “concorrenti” di Del Piero, anziché Matri e Quagliarella, potrebbero chiamarsi Suarez e Dzeko. Mentre lo stesso Del Piero, spiace rivelare una brutta notizia, avrà un anno in più. Non è improbabile uno scenario in cui Del Piero verrebbe messo ai margini della squadra, con un posto più in tribuna che in panchina, con apparizioni scarse e difficilmente decisive. E le polemiche ci sarebbero di nuovo, e anzi sarebbero il triplo di quest’anno se le cose non dovessero andare così bene.

Infine, guardiamo qual è stata la fine di un campione per molti versi analogo al nostro, Raul Gonzalez Blanco. Nel 2010, a 33 anni, egli è stato gentilmente accompagnato alla porta dai dirigenti del Real Madrid, che non volevano un ingombro nel processo di rafforzamento della squadra. E due anni dopo, al termine della stagione in corso, lo spagnolo lascerà per sempre il calcio europeo. Mese più mese meno, è come se Del Piero fosse stato allontanato dalla Juve nel 2007, e si fosse imbarcato per gli USA nel 2009. Certo, la grandezza del nostro sta anche nella sua longevità, quindi un confronto così netto può essere fuorviante. Però un minuscolo dubbio ce lo lascia: siamo proprio sicuri che sia la società a volerlo mandare via troppo presto, e non lui a voler continuare un po’ troppo a lungo?

Se vorranno mettersi d’accordo, qui festeggeremo e ci godremo un altro anno del nostro. Le amichevoli estive, le brevi apparizioni, le serate ispirate, i gol intravisti, quelli sentiti raccontare, quelli inevitabili. Non ne avremo mai abbastanza. Ma se così non fosse, e dovesse finire qua, ci godremo la festa per un addio che migliore non potrebbe essere.

Non dubito più

Ormai non dubito più. Anzi, me lo aspetto. Tutto andava nella giusta direzione. Il dominio nel primo tempo della Juventus, capace di premere la Lazio nella propria metà campo, spesso nella propria area, grazie a un ritmo di gioco superiore a qualunque altra squadra in Italia al momento. La consueta scarsa vena realizzativa degli attaccanti bianconeri e un prodigioso Marchetti, che avevano limitato a uno i gol realizzati, su quattro-cinque occasioni nitide. (Gol peraltro che sarebbe ingiusto non menzionare: un bellissimo stop e rovesciata di Pepe su assist al bacio di Pirlo, azione che verrà ingiustamente messa in secondo piano da quello che è accaduto dopo.) L’amnesia difensiva al termine del primo tempo, che aveva permesso a Mauri di colpire di testa sul palo lungo su cross di Gonzalez, battendo un incolpevole Buffon. La progressiva diminuzione dell’intensità offensiva della Juventus nel secondo tempo, via via che la barra di energia del tridente Vucinic-Quagliarella-Pepe si riduceva. Le positive ultime prove del nostro, che dopo i gol che abbiamo raccontato in qualche modo, si era messo in luce con un bell’assist a Quagliarella nella partita contro il Napoli e con qualche tentativo volenteroso contro il Palermo.

Quindi, quando intorno al settantesimo Del Piero è entrato in campo, io non dubitavo. Per corroborare il mio stato d’animo, Alessandro si è subito esibito in una progressione da centrocampo che lo ha portato fino al tiro, debole, su sponda di Vidal. Poco dopo si è sostituito a Pirlo, suggerendo a Lichtsteiner una palla d’oro dietro alla difesa avversaria: purtroppo sul centro dello svizzero il classico uomo sbagliato al posto giusto, Chiellini, non è riuscito a coordinarsi.

Quando al 37° della ripresa Pirlo e Del Piero si sono avvicinati alla palla ferma, leggermente spostata verso destra, a venticinque metri dalla porta avversaria, io non dubitavo. Marchetti neppure. Aspettava il tiro di Del Piero sopra la barriera, sul primo palo. La classica traiettoria che tante gioie ci ha dato. Invece, mentre Pirlo ancora questionava con l’arbitro sulla distanza dei giocatori avversari dalla palla, Alex ha pensato bene di tirarla dall’altra parte. Bassa, nel punto in cui i suoi compagni coprivano la visuale al portiere. Mentre la palla rimbalzava a pochi metri dalla linea di porta, Marchetti si era già reso conto dell’errore, Del Piero preparava già l’ennesima linguaccia.

Io pensavo che mi sarebbe toccato scrivere un altro post celebrativo, e spero tanto che non sia l’ultimo della serie.

Caterina Bosetti

Un mio amico, quando gli comunicai che avevo aperto questo blog, mi disse: “Sì, però parla anche di qualche giovane emergente!” Sono sempre spaventati che il mio lato malinconico e nostalgico prenda troppo il sopravvento, i miei amici. Hanno ragione. Per fortuna in alcuni casi il mio lato malinconico viene spazzato via, o almeno cambia colore. La malinconia nostalgica diventa malinconia del futuro, emozione per ciò a cui assisto o che vivo e che sta per svanire.

Accade, non serva che lo dica, con lo sport. In particolare, accade questa trasformazione quando vedo una dimostrazione inaudita di eleganza, forza e bravura, quando vedo un essere umano usare al meglio il suo corpo per creare qualcosa di mai visto prima, quando lo sport si avvicina all’arte. Accade anche quando assisto ad una rivelazione, quando il talento si manifesta improvviso in un giovane giocatore e fa apparire gli altri, che hanno passato anni ed anni in più ad allenarsi e prepararsi, come dilettanti, tentativi di giocatore, praticanti di un altro sport. A volte le due cose avvengono insieme, e sono belle volte.

Ieri sera si è giocata gara-2 della finale scudetto di pallavolo femminile. Una finale che è più di un derby visto che si svolge tra due squadre cha hanno sede a meno di 5 chilometri di distanza, a Villa Cortese e a Busto Arsizio. Busto Arsizio, già vincitrice della prima partita, era in vantaggio un set a zero e 11-7 nel secondo set, quando Marcello Abbondanza, l’allenatore di Villa Cortese, ha chiamato un cambio. È uscita Sarah Pavan, opposta spilungona italo-canadese protagonista di una simpatica (?) vicenda qualche stagione fa ed è entrata Caterina Bosetti, la causa e la protagonista di questo post.

Da quel momento, Caterina ha girato la partita, poi vinta 3 a 2, finendo per meritare il premio di migliore giocatrice in campo (detto MVP, Most Valuable Player, perché ci piace fare gli americani quando non serve). La cosa è straordinaria di per sé, per una giocatrice che entra dalla panchina, ma vedere come ha girato la partita lo è stato di più. Ha giocato qualunque colpo d’attacco, e tutti benissimo. Colpi sulle mani, parallele in extra-rotazione, pallonetti corti e lunghi (!), diagonali lunghe, strette … qualunque cosa. Con una eleganza, un tempo sulla palla, una proprietà tecnica da fenomeno. Per non parlare delle difese, vero fulcro della rimonta di Villa. Ma questo non spiega del tutto la mia meraviglia e il mio post. Il dettaglio mancante è che la ragazza ha appena compiuto 18 anni!

Nonostante la giovane età, gli appassionati la conoscono da tempo. Sorella della bravissima Lucia (lei solo genio, non fenomeno), dotata rispetto a lei di 5 cm in più che in questo sport aiutano, la ragazza ha già fatto parlare di sé per il suo talento e la sua precocità. L’anno scorso l’Italia ha vinto il campionato mondiale juniores, riservato alle nate dal 1992 in poi. Lei, pur essendo classe 1994, è stata premiata MVP (aridaje) e miglior attaccante della manifestazione, e due anni a quella età fanno la differenza. Incredibilmente, sarebbe l’unica della squadra che nel 2013 potrebbe difendere il titolo juniores, mentre le altre sarebbero tutte fuori età. Ho il sospetto, però, che avrà di meglio da fare, visto che per quella data sarà piantata fissa in zona 4 della nazionale maggiore. Sì, perché dimenticavo di dire che ieri sera giocava fuori dal suo consueto ruolo di schiacciatrice-ricevitrice, ammesso che per i fenomeni questi dettagli facciano la differenza.

Ieri sera, dopo la partita, è stata intervistata dagli inviati di Raisport. Per fortuna, lì è apparsa ancora una diciottenne. Sgranava gli occhioni davanti alla telecamera e non spiccicava parola. Continua così, Caterina.

Ecco a voi le sorelle Bosetti. A sinistra il genio, a destra il fenomeno.


Edit (03/05): Oggi questo post è stato segnalato su twitter a Caterina, che si è detta addirittura emozionata. Una piccola grande gioia, e un’emozione anche per me.

Vigor

Che nome.


Un giorno, fingendo di scherzare, ho detto ad alcuni amici che la morte che vorrei è su un campo da pallavolo, dopo aver messo a terra il punto decisivo di una partita. In mezzo ai compagni che esultano.

Sono sicuro che lui non la pensasse così. In ogni caso, aveva deciso di finirla con i sogni di ragazzo, di stare vicino a casa, alla famiglia, ai suoi bambini. La morte è stronza anche perché viene a trovarti quando hai deciso di darci un taglio, di prendertela comoda. Giocava in B2, che probabilmente gli richiedeva un impegno pari al mio se giocassi a minivolley con dei decenni. Si è sentito male mentre andava a battere, in un momento qualunque di una partita, per lui, molto qualunque.

Ho saputo la notizia passeggiando per Ravenna, praticamente a casa sua, dalle locandine dei giornali romagnoli, mentre chiedevamo informazioni su dove pranzare. Osteria del Melarancio, se vi capita. Ottimi lo sfornato alla polenta con funghi e squacquerone e la millefoglie alle fragole. Il contrasto di stile tra le due portate è dovuto al meteo. Nel frattempo, infatti, il cielo da cupo si era fatto sereno e la temperatura, da frizzante, primaverile. Una bellissima giornata, alla fine.

Era in campo in quella famosa partita del 1996, era in campo quando Modena vinse l’ultimo scudetto. Era in campo la notte che decisi di non dormire per seguire l’ultima giornata delle Olimpiadi del 2008 e perdemmo la finale per il terzo posto contro la Russia. Era in campo in una memorabile World League del 1995, vinta con i “ragazzini” contro il Brasile, al Maracanazinho di Rio.

Ero indeciso, ma stasera vado ad allenarmi, anche se ho già fatto una partita ieri e sono stanco. Ho troppa voglia di giocare.

Non ho visto Alessandro

Il blogger, ormai convinto che Del Piero si trovasse ai margini di quella macchina da guerra chiamata Juventus, si è distratto sul più bello. Dopo aver accampato scuse più o meno valide per essersi perso in diretta il gol in semifinale di coppa Italia, non trova la forza né il coraggio di fare altrettanto per il gol del 2 a 0 contro l’Inter in campionato. Certo, sono tornato a casa che la partita era già iniziata. Certo, Del Piero era in panchina. Certo, l’Inter è inguardabile. Ma lo so, sono indifendibile.

Quindi non ho visto Del Piero entrare al 53′ per un attivo ma inconcludente Matri, l’ho letto sul televideo. E non ho visto Vidal spostare Samuel con una finta e Del Piero scattare nello spazio alle spalle dell’argentino, ho recuperato le immagini solo dopo, in replay. E non ho visto Alessandro segnare con un piatto preciso sul secondo palo, ho solo sentito un tizio di Diretta Stadio urlare “Gooooool! Aleeeeessssaaaaanddrrooooooo”, con una enfasi che chiaramente non gli si addice, ma a cui è obbligato dallo stile della trasmissione. E ho esultato, ma mi sono pure sentito un po’ in colpa. Per qualche minuto, lo ammetto, non ho creduto in Alex. Mi pento.

Chissà se si pentirà anche la Juventus, dopo aver dichiarato con largo anticipo che questa sarebbe stata la sua ultima stagione in bianconero. Secondo me, sarebbe poco serio cambiare opinione solo perché Del Piero ha segnato due gol. Sarebbe quasi una (altra) mancanza di rispetto: cosa si aspettavano, che non fosse più in grado di giocare?

Intanto, quando ormai, lo ammetto di nuovo, non ci speravo più, Del Piero raggiunge Meazza nella specialissima classifica curata solo da questo blog sul giocatore che ha segnato più gol in una sola squadra. E ora ha a disposizione (almeno) dieci partite per migliorare. Non ne perderò mezza, promesso.

Finalex

Così recitava il titolo di Sky Sport 24 intorno a mezzanotte. Ed io non ho colto subito il gioco di parole. Non me lo aspetto più, ormai, di vedere il nome del nostro beniamino inserito tra le grida dei notiziari sportivi. Eppure sapevo che era successo di nuovo, che Del Piero aveva segnato.

Conte lo aveva detto: “È la partita più importante dell’anno, e giocherà Del Piero.” Io, pur scettico dopo le ultime rade e dimenticabili uscite del nostro, mi ero predisposto a guardarla in compagnia, in birreria. All’ingresso, noto con disappunto che la televisione mostra Sky anziché mamma RAI, ma penso sia solo questione di abitudine, e di minuti. Chiedo al cameriere se è possibile guardare Juventus – Milan ed egli bofonchia qualcosa che forse, che ci provano, che il segnale è criptato, che il satellite, che stanno, che insomma, che si vedrà. Mentre su uno schermo lontano vediamo discussioni tra punti esclamativi gialli e barre di avanzamento della sintonizzazione, su quello più vicino a noi ci tocca assistere al solito monologo del Barcellona contro i malcapitati del giorno. A un certo punto arriva un messaggio: “È un fenomeno vero.” Messaggio che sembrerebbe benaugurante, se non fosse stato inviato da un noto torinese e torinista. Le ipotesi si susseguono: avrà segnato lui? Sarà stato serio? Sarà stato ironico? Magari ha sbagliato un rigore? Da lontano, da un luogo in cui incredibilmente si riceve Raiuno, mio padre mi conferma la lieta novella: ha segnato Del Piero. Pochi minuti dopo, le immagini mirabolanti in altissima definizione del Barcellona vengono sostituite con quelle a 3×3 pixel di un disperato streaming di Raisport, che salta ogni dieci secondi. Fortunatamente, tra un buffering e l’altro riusciamo ad intravedere un uomo con il dieci sulle spalle che vince un contrasto a centroarea, riceve palla a pochi passi dalla porta, se l’aggiusta in qualche modo saltando il portiere (che rischio!) e l’appoggia dentro. Poi urla, e noi con lui.

La bellissima serata si completa con la vittoria da parte del mio gruppo, formato da 6 persone, di una “Cena con delitto” per 2 persone, e con un tiro a caso di Vucinic da 25 metri, che regala alla Juve la finale, e a Del Piero la speranza di vincere un ultimo trofeo da protagonista.

Ammazza che salto!

La moviola in campo: sì, ma come?

Episodi come il gol negato al Milan ieri sera fanno gridare molti (giustamente) all’avvento della tecnologia come ausilio arbitrale, per evitare errori così clamorosi che condizionano le partite. Io però non ho mai sentito una proposta convincente su come un sistema di “moviola in campo” possa essere realizzato in pratica. Infatti, rispetto al tennis o al football americano, dove le azioni hanno un termine naturale e nella pausa tra una e l’altra si possono visionare i filmati, il calcio ha la caratteristica di essere uno sport continuo, dove, a meno di interruzioni arbitrali, il gioco prosegue senza sosta. Non a caso nel rugby, che condivide questa caratteristica col calcio, si usa la moviola solo ed esclusivamente in caso di meta dubbia, a gioco sostanzialmente già fermo.

Prendiamo un caso clamoroso ed apparentemente facile, come il gol di Muntari di ieri sera. Molti hanno notato la rapida ripartenza della Juventus, che si è conclusa con un tiro pericoloso in porta dopo pochi secondi da parte di Estigarribia. Per visionare il replay che avrebbe dato il gol al Milan, questa azione sarebbe stata interrotta. Nel caso di ieri sera, poco male, visto che il gol c’era e il gioco sarebbe dovuto riprendere da centrocampo. In generale, però, questo crea un problema: se la possibilità di invocare la moviola viene lasciata alle squadre, chi sta subendo un contropiede potrebbe usarla come arma tattica per interrompere l’azione successiva, anche nel caso in cui sia palese che la palla non è entrata in porta. Se invece viene lasciata all’arbitro la facoltà di chiedere aiuto, comunque si deve assumere la responsabilità di interrompere un’azione. Non è escluso che la squadra autrice del “forse-gol” sia ancora in area con la possibilità di segnare: che si fa in questo caso? Quando ci si ferma?

I gol fantasma, comunque, sono pochi in un intero campionato. La decisione arbitrale che naturalmente sembra più predisposta ad essere valutata alla moviola è il fuorigioco, visto che:
1) è per sua natura impossibile da giudicare a occhio nudo, durante lo svolgimento dell’azione, da un umano
2) è una situazione puramente “oggettiva”, geometrica, in cui non può esserci discrezionalità o interpretazione da parte dell’arbitro (come invece su rigori, falli di mano, eccetera)
Ma come si fa in pratica? Se il giocatore lanciato a rete viene fermato dal guardalinee, come si potrebbe restituire il danno alla squadra in attacco, una volta verificato al replay che la posizione era regolare? Io non me lo immagino.

Io sono convinto che in qualche modo bisogna arrivare ad usare il supporto tecnologico anche nel calcio, perché eventi come quelli di ieri sera screditano uno sport. Però non ho ancora capito come si può fare, e aspetto invano che qualcuno me lo spieghi.

Il tennis che ho giocato

Da piccolo ci giocavo con mio padre in camera da letto. Come potessimo starci, ora non riesco ad immaginarlo, dato che non ho mai avuto una camera più lunga di cinque metri. Mi ricordo che mio padre, per farmi ridere, quando mancava la pallina si metteva la racchetta di fronte alla faccia, come per cercare un buco che potesse giustificare il suo errore. E tenevamo i punti, e ci tenevo a vincere, come sempre. Poi, qualche anno dopo, alle elementari, vennero le giornate d’estate a casa dei miei zii. Al pomeriggio scendevamo, controllavamo che il parcheggio sul retro fosse libero, mio zio prendeva una prolunga di cavo elettrico e la tendeva tra due sedie in modo che tagliasse a metà il cortile. Il campo era delineato dai segni del parcheggio, in un modo abbastanza approssimativo, perché bisognava ragionare di fantasia, prolungando linee ed immaginando intersezioni. Ma non c’erano mai discussioni da questo punto di vista, il nostro problema non era mai dentro o fuori, ma piuttosto… sopra o sotto. Sì, perché il cavo segnava il livello della rete, ma sotto non c’era appunto la rete a fermare le palline troppo basse, e quindi bisognava intuire, interpretare, ricostruire a tavolino la traiettoria per stabilire a chi assegnare il punto. “Se l’hai colpita lì, ed è finita così corta, non può essere passata sopra…” “Ma no zio, l’ho presa più in alto…” “Vabbè rigiochiamo.” Ricordo che mio zio mi insegnava i rudimenti del tennis (ancora con palline di spugna e racchette di plastica, eh) e, data la sua formazione alla “vecchia scuola”, mi diceva di girarmi su un fianco o sull’altro per colpire; per questo forse tuttora non sopporto quei bimani che giocano il rovescio restando perfettamente frontali alla rete. Già allora ero più forte di dritto che di rovescio, ogni vincente tirato con il rovescio era un avvenimento.

Poi venne la prima racchetta “seria”, della Wilson, e le prime partite nei campi veri. (A proposito di racchetta seria, che delusione quando il maestro anni dopo la prese in mano alla prima lezione e disse “Con questa non ci fai niente.” “E allora, finora, cos’ho fatto?” pensai.) Giocavo contro i compagni di classe delle medie, ed erano partite terribili, come tutto è terribile a quell’età. Ciò che prevaleva era sempre la sensazione di essere lì a fare qualcosa, che prevaleva sul cosa, e sul come. Quasi sempre poi c’erano ragazze a giocare o a bordo campo, erano occasioni anche di socializzazione… insomma ricordo che persino io non badavo troppo al punteggio, mi godevo qualche bel dritto e sfogavo i miei brufoli. A differenza di quello che accadde un paio di volte nelle vacanze in Inghilterra, dove incontrai qualche ragazzo che sapeva giocare, o comunque aveva seguito lezioni, e allora mi impegnavo seriamente, per dimostrare di non essere da meno nonostante la mia formazione da autodidatta. Ricordo qualche vittoria che mi diede gioia, ma più in generale la sensazione che quello fosse uno sport per il quale fossi portato, per il quale avessi un briciolo di talento. I miei genitori mi proponevano spesso di fare un corso in estate (mentre durante l’inverno giocavo a pallavolo) ma declinavo sempre, per quella mia solita paura del nuovo. Alle superiori nuove sfide, con due compagni di classe: con uno in particolare ricordo una serie di vittorie piuttosto lunga, e mai interrotta, che forse ha contribuito alla formazione di suo complesso di inferiorità nei miei confronti, di cui poi venni a sapere in seguito. In realtà quei risultati dipendevano ben poco da me: lui tentava di tirare fortissimo tutte le palline, colpendone anche molte in salto, tentando di imitare i professionisti visti in tv. Mi bastava rimandarla di là per fare punto.

In quinta superiore, la grande decisione: basta pallavolo, mi iscrivo a tennis. Al primo allenamento scoprii due cose decisive: che per colpire di rovescio bisogna cambiare impugnatura (ora non so come avessi fatto a colpire fino ad allora, e più probabilmente spesso non facevo affatto) e che gli allenamenti di tennis sono noiosissimi. Cesti di diritto, cesti di rovescio, cesti di servizio, cesti di volè. E, peggio, un ambiente ben diverso da quello di uno sport di squadra come la pallavolo: poche chiacchiere, pochi commenti, poche espressioni, poche reazioni, nessuna discussione. Ma, ancora, provai la sensazione di essere abbastanza portato, dato che riuscivo a giocarmela con ragazzi che giocavano da anni. Il maestro mi proponeva di giocare i tornei del circolo alla domenica, ma a me, abituato a giocare partite di pallavolo di infimo livello ma comunque “ufficiali”, quest’idea di partite tra soci di tutte le età mi deprimeva abbastanza, soprattutto dovendo fare i conti con la sveglia alla domenica. L’anno dopo il maestro non mi richiamò, chissà perché.

Poi anni di partite con amici, un torneo del CUS, con un 4-6 strappato ad un giocatore, tante sfide con un collega ostico, la voglia crescente di fare qualcosa di più. Prima che mamma pallavolo tornasse a rapirmi, e a farmi male.

Gol di Del Piero

Ebbene sì. E alla delpiero. Il massimo.

Torna la Coppa Italia, e torna Del Piero dal primo minuto. A differenza dell’ultima apparizione, dove avevo dovuto raccontare 120 minuti pieni del nostro, stavolta i minuti in campo sono stati solo 75, e l’azione meritevole una. Ma l’unica che conti davvero.

Siamo al trentesimo del primo tempo, la Juventus è già in vantaggio per uno a zero. Su una azione di contropiede, Del Piero riceve palla sul centrosinistra a 30 metri dalla porta avversaria. Borriello taglia in profondità suggerendo il passaggio, il nostro prova a servirlo ma purtroppo (così pare) un difensore romanista intercetta. La palla carambola ancora sui piedi di Del Piero, e qui avviene una di quelle cose che manifestano, ma non spiegano, l’essenza del gioco: il campione, pur continuando a rispettare formalmente le regole condivise, cambia il senso di ciò che avviene in campo, portando la partita da un’altra parte. Del Piero ha ancora due difensori davanti a sè, ma con un guizzo si porta la palla avanti verso destra e tira. E’ la sua classica azione, quella che gli abbiamo visto fare centinaia di volte. E sbagliare migliaia, negli ultimi tempi. Questa volta, invece, quando appare ovvio che il pallone finisca a lato, la rete si gonfia, il portiere si guarda smarrito, Del Piero urla di gioia, io pure.

E’ la sua classica azione, eppure è una versione 2012, adattata ad un mondo in cui tutto va più veloce, e certi giocatori sembrano usciti dalla Playstation. L’intuizione della carambola e il controllo di palla appaiono rapidissimi, oserei dire messiani. Il tiro ha la solita traiettoria arcuata, ma stavolta non gira lento, annunciando l’inevitabilità della perfezione. Piuttosto è una saetta, un fendente quasi invisibile; il gol è una ferita che si apre senza che il coltello si insanguini. Un gol alla Del Piero 2.0.

Così la Juventus vince 3 a 0 e passa il turno, contro la squadra capitanata da quello che una cosiddetta giornalista domenica ha chiamato “il più forte centravanti di tutti i tempi” (“dde che?” avrebbe dovuto rispondere). La stessa giornalista che nel 2004, dopo l’uscita dall’europeo, chiese a Del Piero… ma lasciamo perdere, ne parlerò un’altra volta.

Oggi si gode, si canta, è festa, evviva, alè. Oggi è il giorno del gol di Del Piero.